1945 – 27 aprile: la liberazione di Torino

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nicoletta a torino

 


 

 

 

27/4/1945  La liberazione di Torino

La liberazione di Torino viene preparata e preceduta dallo sciopero generale proclamato dal CLN. Alle ore 9 di mercoledì 18 aprile gli operai degli stabilimenti torinesi abbandonano compatti il lavoro: mezz'ora più tardi la città è paralizzata.  Fermi i tram, abbassate le saracinesche dei negozi, chiusi gli uffici e le scuole.

In Val Sangone i partigiani bloccano la tramvia della Satti: a mezzogiorno le fabbriche della zona chiudono e sui muri di Giaveno compaiono scritte inneggianti allo sciopero, al comunismo, alla Russia.

A Coazze la gente si riunisce sulla piazza del municipio, in uno spontaneo moto di partecipazione.

Con lo sciopero generale del 18 aprile incomincia la battaglia della liberazione.  Il 20 le armate alleate occupano Bologna e la oltrepassano puntando sulla direttrice del Po.  Riunito in permanenza, il CLN regionale attende dal colonnello Stevens, rappresentante degli alleati in Piemonte, gli ordini del Comando Supremo per le formazioni partigiane: poiché questi tardano a venire, la sera del 24 il CLN rompe gli indugi e forzando l'atteggiamento dilatorio di Stevens impartisce il segnale dell'insurrezione.  L'ordine n. 3000/5 per l'applicazione del piano insurrezionale viene diramato a tutti i Comandi Zona e da questi trasmesso alle formazioni il mattino seguente:

«Aldo dice 26 x 1. Nemico in crisi finale.  Applicate Piano E 27.  Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga.  Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette.  Comandi Zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strada Genova-Torino et Piacenza-Torino».

Il piano E 27, elaborato nell'autunno 1944 e variamente modificato sino all'ordine esecutivo del 24 aprile, si fonda su quattro concetti generali.  Innanzitutto, Torino deve liberarsi da sola, prima dell'arrivo degli alleati, per dar modo agli organi di autogoverno locali di assumere i poteri. In secondo luogo, l'insurrezione deve avvenire con il concorso delle formazioni cittadine e di quelle «foranee», che occuperanno gli obiettivi fissati e stabiliranno attorno alla città una cintura di posti di blocco.  In terzo luogo, le formazioni operaie «interne» e le squadre partigiane antisabotaggio devono provvedere alla difesa degli impianti e delle vie di comunicazione.  Infine, i gruppi partigiani che rimangono all'esterno della città devono disturbare i movimenti delle truppe tedesche in ritirata, senza tuttavia affrontarle in campo aperto per l'inferiorità dell'armamento. Il piano risponde ad esigenze militari e politiche insieme, perché il problema della liberazione del territorio è inscindibile da quello del suo successivo controllo: si tratta di sostenere la battaglia contro i nazifascisti, ma anche di superare le diffidenze inglesi e accelerare i tempi dell’insurrezione. Non si possono aspettare le armate angloamericane, col rischio di veder liquidato il movimento resistenziale senza tener conto di nulla.

Il 20 aprile il Cmrp avverte che stanno per iniziare le operazioni conclusive: il 21, in un consiglio divisionale a Giaveno, Ugo Campagna illustra la situazione a nome del CLN regionale e le formazioni si preparano all’azione.

Quando giunge la comunicazione del Comando IV Zona, il 25 mattina, tutto è ormai predisposto. Sia per la prossimità a Torino, sia perché ai margini occidentali della città sono presenti consistenti forze germaniche in ritirata da sud a nord (la 34a divisione d'artiglieria e la 5a a divisione Alpenjager, trentacinquemila uomini con mezzi corazzati al comando del generale Ernst Schlemmer) i compiti assegnati dal piano E 27 sono vasti e delicati:

“Le formazioni patriottiche della IV Zona trovandosi in particolare situazione (zona di confine a carattere industriale; zona con presidi nazifascisti lungo la fascia pedemontana a blocco delle rotabili che portano alla pianura; zona prossima alla città di Torino) devono:

– con le formazioni di alta valle impedire o quanto meno ostacolare distruzioni e sabotaggi da parte del nemico che si ritira (particolarmente riguardo alle centrali elettriche, fabbriche, acquedotti);

– con le formazioni di media valle bloccare e, se possibile, eliminare i presidi fascisti di valle e dislocati lungo la fascia pedemontana; – con le formazioni di pianura e di bassa valle intervenire decisamente sulla città di Torino, onde, assieme al popolo insorto per la Libertà, eliminare ogni resistenza fascista”.

Le formazioni dell'alta valle di Susa e Val Cenischia devono assicurare l'efficienza delle centrali idroelettriche e della linea ferroviaria Torino-Modane, costituendo nel contempo un presidio a Susa; quelle della Val Chisone e della Val Germanasca controllare i centri industriali della zona di Pinerolo e costituire un presidio in Pinerolo stessa; quella della media e bassa valle di Susa (tra cui la 41a brigata garibaldina «Carlo Carli») operare su Rivoli e sul 1° e 2° settore cittadino (borgo San Paolo, Martinetto); quelle della Val Pellice scendere su Vinovo e operare nel 3° settore cittadino (zona fortificata di corso Vinzaglio, corso Castelfidardo). Per la divisione autonoma Val Sangone “Sergio De Vitis” il piano E 27 prevede:

“- azione nel 3° settore cittadino limitato a corso IV Novembre (incluso), corso Tirreno (incluso), corso Orbassano (incluso), corso Stupinigi (incluso).Obiettivi finali: tutte le caserme del settore assegnato. Zona di attestamento: Beinasco-Drosso; – a disposizione del comando IV Zona, come riserva di manovra, una brigata che si concentrerà a Doirone, a 4 km a sud-sud ovest di Grugliasco; – azioni di rastrellamento e di blocco dei presidi fascisti della zona, di sbarramento delle rotabili Pinerolo-None, Pinerolo-Orbassano, a mezzo di una brigata; della polizia divisionale delle Sap locali che effettueranno pure operazioni di ordine pubblico e di polizia nella fascia di pianura a ovest di Torino compresa fra le rotabili: a nord borgo San Paolo (esclusa), Cascina Quaglia (esclusa), Grugliasco (esclusa), borgo Uriola (esclusa); a sud Cumiana (inclusa), Piscina (inclusa), Airasca (inclusa), None (esclusa), Stupinigi (inclusa)”.

Le indicazioni pratiche per l'attuazione del piano vengono date al comando divisionale direttamente da Tonino Guermani. Giulio Nicoletta dispone di circa un migliaio di uomini: le brigate di Nino Criscuolo, Giuseppe Falzone, Franco Nicoletta e Guido Quazza, a cui si aggregheranno, alle porte di Torino, i reparti di Guido Usseglio rientrati dal Monferrato.  Gli altri elementi delle formazioni rimangono in vallata per le operazioni di polizia e per il controllo delle strade: in particolare, Michele Ghio con la «Edo Dabbene» (che funziona come una brigata territoriale) rastrella la zona tra None-Piossasco-Orbassano.

IL 26 aprile, alle prime luci dell'alba, le formazioni si muovono verso le linee di attestamento. Anche i civili danno una mano, le ragazze di Mimì Teppati preparano scorte di viveri, delle specie di razioni da dare ai ragazzi che scendono a Torino.

Alle 8.30 il Comando IV Zona, che si è stabilito alla cascina La Manta, cinquecento metri dalla Fiat Mirafiori, arrivandovi su una “Topolino” e un camioncino “1100” informa che i tedeschi cercano di mantenere un asse di collegamento fuori Torino da Nichelino-Stupinigi a Orbassano, probabilmente per ritirarsi su Caselle Torinese e quindi ripiegare verso est. Nel frattempo stanno minando il ponte Stupinigi-Torino.  A Stupinigi vi sono quattro carri armati e una cinquantina di tedeschi che proteggono il ritiro del materiale.

L'avvicinamento alla città delle formazioni partigiane avviene alla spicciolata, cercando di evitare il contatto con le truppe germaniche.  Le formazioni di Criscuolo, Falzone e Franco Nicoletta raggiungono Prabernasca col trenino della Satti, ormai sotto controllo partigiano, poi si spostano a piedi verso Beinasco, sistemando il Comando divisionale alla cascina Gonzola.  Guido Quazza con la brigata «Ruggero Vitrani» copre le spalle sorvegliando il nodo stradale Avigliana-Trana-Sangano-Bruino e raggiunge la cascina Gonzola in un secondo tempo.  Guido Usseglio e il suo vice Domenico Paracca convergono invece dalla zona di Cumiana-Orbassano, aggirando il posto di blocco di Stupinigi. Verso le 11 lo schieramento è completato e le formazioni attendono l'ordine di entrare in città.  A mezzogiorno giunge invece una comunicazione di rinvio: il Comando IV Zona dispone che l’attacco avvenga solo l’indomani, 27 aprile.

Ufficialmente il rinvio è dovuto al mancato completamento della linea di attacco: in realtà esso è conseguenza dei contrasti fra il colonnello Stevens, che cerca di dilazionare il momento dell'insurrezione, e il CLN regionale, che cerca invece di affrettarlo.

Il 27, a mezzogiorno, giunge finalmente l'ordine di marciare sulla città: la maturità politica del CLN regionale ha superato le diffidenze alleate e deciso di completare l'operazione.  Alle 13 i partigiani della Val Sangone sono in marcia. La prima formazione ad entrare in città è quella di Falzone che si dirige verso Santa Rita.  Verso le 14 una colonna di autoblinde che avanza in direzione opposta verso la Fiat Mirafiori intercetta il gruppo: il conflitto è violento, cadono cinque uomini di Falzone e altrettanti sono i feriti, ma i nemici si ritirano. Nel frattempo le brigate di Nino Criscuolo e di Guido Quazza entrano alla Fiat Mirafiori unendosi alle formazioni operaie interne; le brigate di Franco Nicoletta e di Ugo Giai Merlera occupano invece il Lingotto.  A sua volta la «Carlo Carli», dopo uno scontro a fuoco a Grugliasco con una pattuglia tedesca, entra all'Aeronautica catturandone il presidio.  Dappertutto vi sono scambi intensi di fucileria con pattuglie di repubblicani costrette a ritirarsi.

Cinque anni di guerra giungono cosi all'epilogo.  Alle 17,30 radio Milano comunica l'arresto di Mussolini, Pavolini e Farinacci a Lecco; alle 22,30 radio Londra annuncia il congiungimento fra le truppe russe e americane a Torgau, sull'Elba.  Per il nazifascismo non c'è più nulla da difendere.

Il 28 aprile la liberazione di Torino è completa.  Gli uomini di Falzone entrano nella caserma Monte Grappa, abbandonata dalla Decima Mas, quelli di Usseglio nella Casa Littoria di Piazza Carlo Alberto, ribattezzandola «Palazzo Campana»: quelli di Quazza, Criscuolo e Franco Nicoletta rastrellano la zona fra Corso Orbassano e corso Stupinigi, la «Carlo Carli» controlla il punto strategico dell'Aeronautica, a stretto contatto delle truppe tedesche in ritirata.  Negli altri settori cittadini entrano le formazioni del Canavese, del Monferrato, delle Langhe.  Dalle «Nuove» escono i partigiani incarcerati nei mesi precedenti: Eugenio Fassino e i fratelli Tallarico si ricongiungono con le loro formazioni.  Mentre il CLN assume i pieni poteri, gli ultimi cecchini appostati nelle case vengono eliminati dai rastrellatori:

Sulla città liberata pesa ancora l'incognita delle truppe del generale Schlemmer, che con la mediazione della Curia arcivescovile ha chiesto l'autorizzazione a ritirarsi attraverso il centro, minacciando di trasformare Torino in una seconda Varsavia in caso di attacchi partigiani. Il CLN ha risposto negativamente, disponendo contemporaneamente una copertura nella periferia sudoccidentale.  Nella notte tra il 28 e il 29 la divisione «Sergio De Vitis», con altri reparti della IV Zona, si dispone così lungo la direttrice Moncalieri-Beinasco.  Schlemmer decide però di non forzare la difesa partigiana e le truppe germaniche sfilavano verso nord senza entrare in contatto con le formazioni, ma compiendo a Grugliasco l’ultimo eccidio fucilando 66 civili. Nella tarda mattinata del 29 i partigiani possono rientrare in città.

Il 1° maggio (che la Giunta dì Governo della Resistenza ha dichiarato festa nazionale) giungono in Torino le prime avanguardie angloamericane. I soldati di Alexander trovano una città disciplinata, con i servizi pubblici in funzione e con 14.000 partigiani che la presidiano.

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