1944 – 17 agosto: cattura e impiccagione del “Campana”

 

Cordero di Pamparato - Campana

 

 

 

 

 

 

 

 

53- F.Cordero di Pamparato Roburent

Felice Cordero di Pamparato

dopo la cattura

 

 

 

impiccagione ten Michele Cordero di pamparato Campana 17 6 44 con Giorgio Baraldi Vitale Cordin Giovanni Vigna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

17 agosto 1944 – La morte di Felice Cordero di Pamparato “Campana”

Nella seconda metà di luglio i tedeschi lanciano un'offensiva in Val Chisone e in alta valle di Susa denominata «Operazione Usignolo» e comandata dallo Standartenfhúrer SS Walter Rauff, nella quale sono impegnati reparti della Wehrmacht, forze di polizia germaniche e truppe della RSI. È necessario eliminare la minaccia dei partigiani arroccati al Sestriere e sulla dorsale Susa-Chisone per mantenere sgombro il valico del Monginevro, la più importante via di comunicazione con la Francia occupata, e assicurarsi i collegamenti con le truppe dislocate nella Francia meridionale. Le operazioni, durate sino a metà agosto e concluse con l'eliminazione della «zona libera» della Val Chisone, coinvolgono marginalmente la Val Sangone: alcuni reparti nazifascisti fanno puntate a Giaveno e Coazze il 19 luglio e il 4 agosto, senza tuttavia scontrarsi con i partigiani. Una nuova puntata viene effettuata il 7 agosto da reparti tedeschi, che a sera salgono verso il colle della Roussa e il colle del Vento diretti nelle vallate vicine.  Si tratta probabilmente di azioni di copertura all’attacco principale, per impedire un intervento da tergo dei partigiani della Val Sangone.  La frequenza delle incursioni lascia però presagire un prossimo rastrellamento di ampie proporzioni.

La prevista offensiva inizia il 16 agosto, ma senza l'ampiezza temuta.  Reparti delle brigate nere «Ettore Muti» e «Ather Capelli» scendono nel vallone della Maddalena provenendo dal colle del Bes e dall'Aquila e stabiliscono il quartier generale a Giaveno: per due giorni presidiano la vallata, limitandosi ad azioni di intimidazione verso i civili (trentacinque ostaggi a Coazze, rilasciati dopo qualche ora, una cinquantina a Giaveno).  Si tratta verosimilmente di truppe in fase di addestramento, poco determinate ed inesperte. Nei loro diari Guido Quazza e il podestà Zanolli ne sottolineano l'indisciplina e la disorganizzazione. L'operazione costa tuttavia al movimento resistenziale della vallata la perdita del comandante «Campana», arrestato ed impiccato con altri tre compagni.  La cattura avviene in modo casuale al Mollar dei Franchi, da parte di soldati delle brigate nere travestiti a cui si era avvicinato ignaro. Accortosi dell’inganno getta una bomba a mano che non esplode e viene catturato.

Al Comando dì Villa Garrone Cordero di Pamparato viene interrogato per due giorni, tra minacce e lusinghe.  Secondo la testimonianza di don Giuseppe Marabotto, un suo ex compagno di Accademia cerca di convincerlo a tradire la causa partigiana, offrendogli l'arruolamento come ufficiale nella RSI, ma <Campana> rimane irremovibile. La sera del 17 i fascisti decidono l'esecuzione: le mani legate dietro la schiena con filo di ferro, Pamparato viene portato nella piazza della stazione e impiccato al balcone di casa Gìai, presso l'Albergo Centrale.  Con lui muoiono Giorgio Baraldi, Vitale Cordin e Giovanni Vigna.  Un quinto arrestato, Giulio Corino, sarà impiccato qualche giorno dopo ad Orbassano.

I corpi rimangono appesi per tutto il giorno successivo e potranno essere rimossi e sepolti solo dopo la partenza dei rastrellatori.

L'esecuzione di «Campana» suscita impressione in tutta la vallata. Il personaggio aveva acquistato popolarità in poco tempo e si era fatto apprezzare per il carattere determinato:

Nei commenti della popolazione non mancano critiche all'operato dei partigiani: perché i compagni non erano intervenuti per liberarlo? La scelta di non intervenire nasceva però dalla tattica adottata in vallata: nessun attacco per evitare rappresaglie sui civili.

Al comando della formazione di «Campana» viene chiamato il professor Guido Usseglio, che abbandona l'attività all'ospedale Molinette di Torino ed entra nella Resistenza armata, prendendo il nome di battaglia “696”.

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