1944 – 26 novembre: rastrellamento e presìdi

provonda commemorazione

Cimitero di Provonda: Commemorazione delle vittime del rastrellamento del 26 novembre 1944 
Partigiani alla Verna di Cumiana

verna partigiani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Il rastrellamento del 26 novembre 1944

La sera del 26 novembre un reparto tedesco, armato di mortai e di mitragliatrici pesanti, risale la collina della Verna di Cumiana, sullo spartiacque Chisola-Sangone.  La borgata, che nell'inverno 1943-1944 era stata una delle prime sedi della banda «Nino-Carlo», è diventata la base della 6a brigata «Antonio Catania», una formazione della divisione autonoma di Maggiorino Marcellin scesa verso la pianura in estate, dopo la fine della zona libera della Val Chisone.  Sfruttando il buio, i tedeschi riescono a circondare la Verna da tre lati senza essere individuati dalla pattuglia di guardia:

Quando gli uomini si accorgono dell'attacco sono ormai accerchiati e devono lanciarsi allo scoperto contro nemici ben appostati dietro i ripari.  Cadono Giuseppe Bert, «Vagliò», il cuoco della banda, Ferlito, Faroni, Foglia, Trizza. Poi è la volta di Gianni Gino, di Giuseppe Bonino, di Aurelio Carosso.  Gli scontri proseguono nei boschi, dove i partigiani cercano scampo.  Alcuni gruppi sono costretti a rallentare perché devono trasportare dei feriti: Fausto Gavezzeni «Rossi», il comandante, ha un braccio ingessato; Ugo Buzzolan non riesce a camminare per le ferite riportate un mese prima in un incidente.

L'inseguimento dura sino a notte fonda, tra la Verna, Cumiana e i Dalmassi.  Quando si conclude il bilancio è di quattordici partigiani e cinque civili uccisi e di dieci prigionieri. La Verna viene incendiata, senza dar tempo ai contadini di mettere in salvo le proprie masserizie.  All'alba vengono date alle fiamme anche le frazioni di Fiola e dei Morelli, nella bassa Val Chisola. All’alba del 27 novembre l’offensiva si sposta in Val Sangone. La tecnica dell'offensiva concentrica dalla valle di Susa e dalla Val Chisone è la stessa di maggio.  Non c'è invece l'attacco dal fondovalle, nell'intento di spingere i partigiani verso Giaveno per poi imbottigliarli.

Martedì 28 novembre.  Il blocco continua.  Nessuno può scendere oltre Trana e uscire dal cerchio, nemmeno le donne. Al mattino di mercoledì 29 novembre si ha notizia che il rastrellamento si svolge su per la montagna con i tedeschi che incendiano le borgate e uccidono… A mezzogiorno compaiono in paese e l'altoparlante dice ai quattro venti che l'ordine sta per essere riportato in paese. Il coprifuoco comincia alle 14.00, chi sarà trovato fuori sarà passato per le armi.  Incominciano le perquisizioni.  Drappelli e soldati tedeschi non sono più guidati da ufficiali e graduati, sfondano le porte che non si aprono ai loro colpi.

L'ordine dei comandi partigiani è di lasciar filtrare le pattuglie tedesche che battono la montagna, senza impegnarsi in combattimento. I nascondigli predisposti avrebbero dovuto garantire l'occultamento:

La tattica riesce nella zona di Forno, dove Giuseppe Falzone ha diviso la brigata in piccoli nuclei, con rifugi sotterranei ben occultati dall'esterno.  Le pattuglie nemiche setacciano l'alta valle, dal Forno all'Alpe del Sellerì, senza trovare tracce di partigiani.  Nella zona di Provonda – Prese della Franza, la prima ad essere investita dall'attacco e dove le forze tedesche si concentrano più numerose, i risultati sono diversi.  Il sistema di sorveglianza disposto tra i colli del Bes e dell'Asino non riesce a dare l'allarme in tempo e le bande «Frico» e «Campana» vengono sorprese dai rastrellatori senza avere il tempo di raggiungere i rifugi.  Intuendo il piano tedesco di accerchiare le formazioni nella conca di Giaveno, Federico Tallarico e Guido Usseglio ordinano di ritirarsi verso la Val Chisola e disperdersi in pianura: per raggiungere la zona di Cumiana bisogna però superare le pattuglie tedesche.  Si combatte al Fusero, alla Merlera, alla Tora, a Budini, alle Prese della Franza:

La ritirata delle bande «Frico» e «Campana» dura due giorni: una decina di uomini cadono sul campo, altri sono catturati.  Mentre il grosso raggiunge la pianura e cerca rifugio nei cascinali, i tedeschi scoprono i magazzini e requisiscono le scorte.

La formazione di Carlo Asteggiano e Guido Quazza, accampata tra Maddalena e Prafieul, riesce invece a raggiungere in tempo i rifugi predisposti nelle settimane precedenti, ma le condizioni sono difficili:

Mentre i partigiani cercano di sfuggire ai pattugliamenti nazifascisti, la popolazione civile si trova di fronte ad un'offensiva che non fa distinzione tra uomini delle bande e valligiani:

Se la memoria del rastrellamento di maggio è legata alla fossa comune di Forno e alla fucilazione dei combattenti catturati, quella di novembre è legata invece alle atrocità contro i civili, agli incendi delle borgate, ai saccheggi.  In questi giorni vengono uccisi la maggior parte dei cinquanta civili di Giaveno caduti durante la Resistenza: 15 a Provonda, 6 a Mollar dei Franchi, 16 tra Ruata Sangone e Monterossino.  E negli stessi giorni vengono incendiate intere frazioni dell'alta valle: Fusero, Ciamussera, Prese Loiri, Dindalera, Praverdino, Polatera.  La montagna paga il prezzo della sua adesione al movimento resistenziale, della complicità con i partigiani, del rifugio offerto alle bande:

Alla borgata Ceca di Provonda l'episodio più atroce.  Bruno Viretto, un ragazzo di quattordici anni, brucia nel rogo della sua casa con la madre, una zia e un'anziana congiunta: un adolescente e tre donne arsi vivi perché la zona è sede delle bande.

Nelle borgate dell'alta valle spesso vengono bruciate le case, il saccheggio è ovunque sistematico: negozianti, contadini, sfollati subiscono le prepotenze della truppa.

Mentre la truppa saccheggia liberamente, il Comando tedesco decide l'esecuzione dei partigiani catturati: 17 uomini, alcuni dei quali prelevati dalle carceri di Torino, vengono fucilati sulla piazza di Giaveno il 30 novembre e lasciati esposti sino al mattino successivo:

IL 1° dicembre, dopo quattro giorni di violenze, i nazifascisti lasciano Giaveno.

Quando la lunga colonna di camion e autoblinde sta ormai scendendo verso Trana, accade però l'imprevisto.  Sei aerei alleati effettuavano un lancio nella zona di Prafieul, il più grande sino ad allora, e il cielo si riempie improvvisamente di paracadute bianchi; oltre quattrocento casse di armi, viveri, munizioni, vestiario scendono tra lo stupore inquieto dei valligiani e dei partigiani, che riescono a recuperare poche casse, perché l’autocolonna tedesca, accortasi del lancio, inverte il senso di marcia e un'ora dopo è a Prafieul.

Il Comando tedesco decide di riprendere immediatamente le operazioni di rastrellamento in vallata e di stabilire presìdi nei centri maggiori: di fatto, la Val Sangone viene occupata dai nazifascisti fino a marzo.

La prima settimana di dicembre è tragica. I rastrellatori fermano centinaia di persone sottoponendole ad interrogatori estenuanti.  Vengono arrestati: il parroco di Trana, don Giacinto Gianolio, e quello della Maddalena, don Giovanni Gallo; don Angelo Salassa, cappellano militare della Divisione «Sergio De Vitis», catturato a Prafieul e tradotto alle «Nuove» di Torino; lo stesso podestà di Giaveno, imprigionato a Pinerolo fino a Natale.: Inoltre tutte le borgate della zona del lancio vengono bruciate: Prafieul, Chiarmetta, Alpe Colombino, Prese Vecchie, Borgata Re. I depositi di viveri e di munizioni, preparati dalle bande, vengono scoperti e svuotati.

La notte fra il 2 e il 3 dicembre i 70 uomini rimasti della brigata “Vitrani” vengono attaccati improvvisamente a Prese Loiri: Sergio Silano viene ucciso, Ernesto Caccamo catturato. Il 4 mattina i rastrellatori attaccano improvvisamente una pattuglia, composta tra gli altri da Carlo Asteggiano, Ugo Veneziani, Guido Quazza.  Nino Motti, Giorgio Quazza e Domenico Delle Donne vengono catturati; Ugo Veneziani viene ferito; Francesco Morello, Benito Di Nola e Ignazio Colla vengono feriti e trucidati; altri della brigata “Frico” sono catturati o uccisi.

Ai partigiani non resta che tentare di filtrare tra le maglie dei rastrellatori e raggiungere la pianura. A piccoli gruppi, di notte, si disperdono al di fuori della vallata verso Grugliasco, Villarbasse, Reano, Nichelino, Volvera. Costretto a difendersi, il movimento resistenziale verifica la solidità dei suoi legami con la popolazione civile: gli abitanti della pianura garantiscono i nascondigli, i collegamenti, le informazioni. Con la pianurizzazione i partigiani sopravvivono all’inverno. Si ritroveranno in primavera per scendere a liberare Torino.

 

 

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