1944 – 3 aprile: l’eccidio di Cumiana

cumiana bruciata

 

 

Cumiana croce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

cumiana riesumazione delle salme

Riesumazione delle salme, sotto

gli scampati alla strage di Cumiana

cumiana scampati eccidio 01

 

COMUNE DI CUMIANA – VITTIME CIVILI

Airasca Celestino,     medaglia-oro-valor-civile

Ambrosio Vincenzo,

Amè Esterina,

Amè Luigina,

Amè Michelangelo,

Amè Marcellino,

Amedeo Domenico,

Amedeo Fortunato,

Baudino Cesare,

Bianco Ignazio,

Burdino Giovanni,

Burdino Lorenzo,

Camusso Giuseppe,

Canale Giacomo,

Canale Giovanni Battista,

Carello Angelo,

Carello Giovanni,

Carello Michele,

Chiantore Angelo,     

Ambrosio Vincenzo,

Chiantore Mario,

Daghero Dario,

Daghero Giacomo,                

Daghero Giovanni,                

Daghero Riccardo,

Daghero Silvio,

Durando Luigi,

Fassetta Eraldo,

Favro Giuseppe,

Gaidone Giacomo,

Gastone Anselmo,

Gattone Enrico,

Giorda Michele,

Gontero Orsola,

Lauretta Francesco,

Levrino Michele,

Mago Giuseppe,

Maletto Giuseppe,

Malli Umberto,

Mollar Cesare,

Mollar Luigi,

Moratto Giovanni,

Morello Leonildo,

Pacchiotti Francesco,

Pizzigatti Ermenegildo,

Ponzo Michele,

Recrosio Valente,

Rolando Enrico,

Romero Giovanni,

Romero Vincenzo,

Ruffinatto Alessandro,

Ruffinatto Giovanni,

Ruffinatto Aldo,

 Ruffino Clemente,

Traversa Luigi,

Ughetti Felice,

Vaglio Giovanni

numerosi documenti consultabili sul sito

www.memorialcumiana.it

cumina doc strage

 

 

 

 

 

 

 

 

Cumiana cascina

 

 

 

cumiana vedove orfani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3 aprile 1944: L’Eccidio di Cumiana

All'alba del 30 marzo arrivavano a Cumiana consistenti reparti del VII Battaglione Milizia Armata, le cosiddette SS italiane: un centinaio di uomini in tutto, comandati da ufficiali inferiori e sottufficiali tedeschi, accasermati da qualche giorno all'Istituto Agrario di Cascine Nuove per un periodo di addestramento.

Qualche ora dopo inizia un rastrellamento a tappeto nella Val Chisola che porta all'arresto di una settantina di persone (alcune sarebbero state rilasciate il giorno successivo, altre deportate in Germania).Si tratta di un’azione programmata sin dalla metà del mese, quando l'Ispettorato regionale per il Piemonte della GNR aveva richiesto un’operazione sulle direttrici Rivoli-Avigliana e Piossasco-Cumiana contro i “ribelli” molto attivi in quel settore. Forse sopravvalutando le forze partigiane (nella citata richiesta, l'Ispettorato della GNR parlava di un «gruppo ribelle dotato di numerose armi automatiche e diversi pezzi d’artiglieria»), le SS limitano i loro movimenti alla bassa valle e non salgono verso Moncalarda-Verna, dove sino a febbraio i partigiani della banda «Nino-Carlo» hanno le loro basi.  A sera, il reparto della Milizia si ferma a presidiare Cumiana, lasciando una quarantina di uomini nel paese.  Il giorno successivo, comunque, il rastrellamento non prosegue e le SS si limitano a costringere uno degli arrestati, Cesare Mollar, a trasportare col proprio camion le razioni annonarie del comune, fermandosi in paese per sorvegliarle.

Nella notte fra il 31 marzo e il 1° aprile: un camion della ditta Giustino, requisito dalla banda «Nino-Carlo», transita in Cumiana diretto all'ammasso granario di Volvera, dove gli addetti riescono ad accantonare grano per i partigiani.

Il posto di blocco delle SS costringe i due partigiani che sono a bordo a darsi alla fuga: uno si nasconde nel greto del Chisola, l’altro risale verso la Colletta dando l'allarme.

La presenza delle SS a Cumiana indica una volontà di controllo che preoccupa i partigiani perché rende impraticabili i collegamenti col Pinerolese, essenziali per le puntate in pianura, dove ci sono depositi e ammassi, visto che le altre direttrici sono sottoposte ai presidi di Avigliana e Sangano. Riuniti alle prime luci dell'alba, i capi partigiani decidono un’azione per la mattinata successiva.

Bartolomeo Romano trasporta una sessantina di uomini in tre viaggi successivi, con un automezzo requisito appositamente: ci sono elementi delle bande «Nino-Carlo» e «Nicoletta» e un consistente gruppo della «De Vitis», con il comandante e i suoi due vice, Pietro Curzel «Vecio» e Sandro Magnone. Ci sono anche il tenente Nino e Franco Nicoletta.  Giulio ferito alla schiena a Trana non è della partita.

Verificata la consistenza dei presidio (una quarantina di SS, sparse fra piazza Vecchia, via Giaveno e via Chisola), i partigiani decidono una manovra d'accerchiamento: il gruppo di Sergio De Vitis, passando dai prati retrostanti il cimitero, raggiunge la piazza dalla via del Mulino, quello di Franco Nicoletta si prepara ad attaccare dalla direzione di Giaveno, quello del tenente Nino occupa le case attigue alla piazza per aprire il fuoco dalle finestre.

Gli uomini di De Vitis non hanno ancora completato il percorso di aggiramento quando il gruppo appostato nelle case di Piazza Vecchia si accorge che molte SS stanno partendo su un camion e vista la situazione favorevole decide di attaccare. Lo scontro davanti alla salumeria Balbo è breve ma violentissimo.

Le SS reagiscono proteggendosi dietro il camion e cercando di riordinarsi per il contrattacco, ma l'arrivo degli uomini di Franco Nicoletta e di Sergio De Vitis li costringe alla resa: mentre un capitano riesce a ritirarsi fra le case con un piccolo gruppo, il grosso del presidio, trentadue SS italiani e due sottufficiali tedeschi, si consegna prigioniero. Nella mezz'ora di fuoco i nazifascisti hanno avuto diciannove feriti, uno dei quali morirà all'ospedale di Pinerolo il giorno stesso; tra i partigiani cade Andrea Gaido, 23 anni, di Carmagnola e resta ferito mortalmente Lillo Moncada, un siciliano della banda Nicoletta.

Salvatore Lumia e Pietro Curzel conducono in Val Sangone l'autocarro che è servito per il trasporto dei partigiani e quello lasciato dalle SS sulla piazza di Cumiana, caricandovi i prigionieri.

La rappresaglia tedesca non si fa attendere, alle due del pomeriggio del 1° aprile, qualche ora dopo il conflitto di Piazza Vecchia, Cumiana viene occupata da reparti tedeschi e repubblicani fatti affluire dalle caserme di Pinerolo e di Torino: le case dalle quali i partigiani hanno aperto il fuoco vengono incendiate coi lanciafiamme. Mentre le abitazioni vengono distrutte, i tedeschi rastrellano il paese metro per metro prendendo in ostaggio tutti gli uomini: circa centocinquanta persone vengono concentrate al Collegio salesiano delle Cascine Nuove, dove i tedeschi hanno il loro comando.

Di fronte all'emergenza, la comunità è sola. Il podestà Giuseppe Durando, era fuggito da Cumiana qualche settimana prima dopo un tentativo di cattura da parte dei partigiani.

L'unica assistenza giunge alla comunità dal clero: il parroco don Felice Pozzo e i suoi vicecurati si prodigano per circoscrivere l'incendio aiutati dalle donne e da alcuni ragazzi, mentre i Salesiani distribuiscono del pane fra gli ostaggi ammassati nelle stalle del Collegio.

La minaccia di fucilare gli ostaggi se non verranno restituiti i trentaquattro prigionieri si diffonde nella mattinata del 2 aprile, dopo che i partigiani hanno respinto al Pontepietra una puntata tedesca in Val Sangone.  Il medico condotto di Cumiana, Michelangelo Ferrero, viene ufficialmente incaricato della mediazione.  Con lui sale a Forno il parroco, don Pozzo. Le trattative non sono semplici, perché le bande della vallata non hanno un comando unitario e la decisione deve nascere dal confronto. A Forno si riuniscono tutti i capi per una discussione che dura sino alle dieci di sera: ci sono Franco e Nino Criscuolo, Carlo Asteggiano, Sergio De Vitis, Franco Nicoletta, Eugenio Fassino, Federico Tallarico, il tenente di vascello Paventi, Rinaldo Baratta, Cordero di Pamparato, Costantino Somaglino, Pietro Curzel, Sandro Magnone.  Manca Giulio Nicoletta, rimasto nei rifugi più a monte perché convalescente.  Le condizioni dei tedeschi sono perentorie: restituzione immediata degli uomini catturati il l° aprile, insieme con l'autocarro e l'armamento individuale. Tale richiesta è respinta e i mediatori tornano a Cumiana, ricevendo dal tenente Anton Renninger, comandante del reparto, una ripetizione dell’ultimatum precedente e dopo inutili mediazioni le condizioni definitive: fucilazione degli ostaggi se entro le 18.00 non si presenta un comandante delegato a definire le modalità della riconsegna. Il confronto tra i partigiani è acceso e anche Giulio Nicoletta, chiamato dal fratello, scende a Forno per dare il proprio contributo.

Verso le 15.00 si giunge alla votazione e la maggioranza risulta favorevole allo scambio.  L'Ardita amaranto del dottore si rimette in moto, della delegazione fa adesso parte Giulio Nicoletta, ma i tedeschi non hanno aspettato l'esito delle trattative. Forse per intervento del comandante delle SS di Torino, capitano Alois Schmidt, verso le due del pomeriggio 58 uomini scelti a caso fra gli ostaggi vengono avviati verso il paese e presso la cascina Riva di Caia, verso il tramonto, inizia il massacro. Mentre le SS italiane, con i fucili puntati, impediscono i tentativi di fuga, il maresciallo Rokita prende gli ostaggi a gruppi di tre, li conduce dietro l'angolo della cascina e li fredda uno dopo l'altro a colpi di Luger calibro 9. Ubriaco di cognac, il sottufficiale continua le esecuzioni: si salva il maestro Luigi Losano, che in un tedesco stentato grida «non sono di Cumiana» e approfitta dell'esitazione del sottufficiale per rifugiarsi nella cantina del cascinale; un altro è graziato perché l'arma si inceppa al momento dello sparo, un altro ancora riesce a nascondersi in un sottoscala.  La strage procede metodica per sette turni, sino a che uno degli ostaggi, Vincenzo Ambrosio, negoziante in ferramenta, cade all'indietro, alla vista dei superstiti, che capiscono e tentano la fuga. Anche le SS italiane sparano contro i fuggitivi e dei cinquantotto ostaggi portati alla cascina Riva di Caia ben cinquantuno giacciono morti quando l'auto del dottor Ferrero, passando da Bruino-Piossasco, arriva a Cumiana, un'ora dopo l'eccidio. Nicoletta incontra all’albergo della stazione il tenente Renninger, che lo informa della strage e che le trattative proseguiranno a Pinerolo direttamente col generale Peter Hansen. Il colloquio è teso, si utilizza anche il latino per intendersi.

A fine mattinata l'accordo è raggiunto: i prigionieri saranno riconsegnati l'indomani, alle porte di Cumiana, con il camion e i fucili (però resi inservibili) e subito dopo i tedeschi libereranno gli ostaggi.

Il 5 aprile, in mattinata, i trentaquattro prigionieri vengono condotti a Cumiana. Saputo della strage, alcuni non vogliono tornare nelle file della Milizia, dicendo di aver fatto i volontari solo per non rimanere nei campi in Germania a morire di fame. Ma tutti devono essere riconsegnati. Alla sera gli ostaggi sono liberati. I morti, per ordine del comando tedesco, sono seppelliti in una fossa comune (un mese dopo, il 3 maggio, saranno riesumati da un reparto di SS italiane e spruzzati di acidi e sostanze caustiche per renderli irriconoscibili).  Per Cumiana la vicenda si conclude con cinquantuno vittime, quarantacinque orfani, trentatré vedove e quasi metà del paese incendiato.

 

 

 

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