Via Resistenza (Coazze – Forno) – Fossa Comune È il luogo dove vennero uccisi 26 partigiani, a conclusione della prima fase del tragico rastrellamento del maggio 1944. Dal Piazzale Luigi Milano, lungo via della Resistenza, un sentiero, riattato e lastricato con i lavori del 1990, scende per qualche centinaio di metri verso il greto del Sangone. Tre cippi in pietra accompagnano chi scende al luogo dell'eccidio, segnato da una croce già nel 1948 e poi sistemato più degnamente nel 1991 dal Comitato dell'Ossario, dopo aver provveduto ad acquisire l'area, che era di proprietà privata. |
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Primo dei tre cippi posizionati lungo il sentiero che scende per alcune centinaia di metri fino ad arrivare alla zona della Fossa comune. Il cippo ricorda due dei più sanguinari eccidi compiuti in zona dai nazi-fascisti: l’eccidio di Cumiana e quello di Grugliasco[1]. Il 3 aprile 1944 a Cumiana giunge alla conclusione un imponente rastrellamento nazi-fascista iniziato due giorni prima a seguito di uno scontro con i partigiani, avvenuto in piazza Vecchia, dove questi ultimi erano riusciti prendere come prigionieri trentadue militi delle SS italiane e due sottoufficiali tedeschi. Per rappresaglia erano state incendiate alcune abitazioni e presi in ostaggio centocinquanta civili. Se i prigionieri in mano ai partigiani non fossero stati liberati entro le ore 18:00 del 3 aprile gli ostaggi civili sarebbero stati uccisi. I capi partigiani, dapprima non inclini alla trattative, di fronte ad un pericolo concreto per la popolazione civile, decisero di autorizzare lo scambio di prigionieri. Contrariamente agli accordi, però, i tedeschi non mantennero i patti e – all’arrivo di Giulio Nicoletta a Cumiana – cinquantotto ostaggi erano già stati uccisi. La strage di Grugliasco viene invece compiuta tra il 29 aprile ed il 1 maggio 1945 dalle truppe tedesche in ritirata. Sebbene gli fosse stato concesso il passaggio in zona solo a patto che non avessero attaccato i civili, i nazisti, ancora una volta, contravvennero agli accordi e – in quei tre giorni – massacrarono sessantotto persone (di cui sessantacinque il 30 aprile) tra civili e partigiani. Una richiesta presentata dalla sezione A.N.P.I. Giaveno – Val Sangone, che chiedeva l’erezione di due nuovi cippi a ricordo delle stragi di Castelnuovo di Pinasca e Sant’Antonino di Susa (contestuali a quelle della Fossa comune) non è stata per ora presa in considerazione. |
Secondo cippo lungo il sentiero che conduce alla zona della Fossa comune. La targa ricorda l’occupazione nazista della valle e l’istituzione del presidio e della prigione a Coazze. Il presidio tedesco, attivo da novembre 1944 a marzo 1945, era stato sistemato nel centro del paese presso villa Prever (attuale villa Tosco). La scuola elementare di piazza della Vittoria era invece stata adibita ad improvvisato carcere per civili e partigiani. |
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Posto in un piccolo slargo erboso, questo è l’ultimo cippo prima della Fossa comune. Viene indicata la zona in cui i prigionieri vennero radunati prima di essere fucilati. Anche se, come scrive Sonzini[2]: "Non è dato sapere esattamente cosa succeda a questo punto, fino ad oggi non si è trovato alcun testimone e in merito esistono versioni disordanti. Forse viene loro ordinato di scavare una fossa anche se già ve n'era una da cui si ricavava ghiaia. Quindi intorno alle 17, pare che si creino otto gruppetti di tre prigionieri e li si fa disporre sul ciglio: una sommaria raffica di mitra falcia a uno a uno i gruppi di partigiani facendo ammassare i loro corpi l'uno sul'altro. In un'altra versione vengono mitragliati tutti assieme e poi trascinati con le mani nella fossa." |
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Le due pietre, tratte dal greto del Sangone, sono poste nella parte finale del percorso. La prima si trova al termine del sentiero, sulla sinistra. La seconda è state invece posizionata ai margini della Fossa comune, a fianco della grande lapide di pietra incisa con il profilo di un caduto. Colui che «si scagliò contro i carnefici» è, secondo quanto si dice e viene riportato da Sonzini, il partigiano ventunenne Cesare Ramo che avrebbe colpito con una badilata una guardia[2]: "Si ignora se qualcuno abbia pensato o anche tentato di fuggire: si dice che Cesare Ramo abbia dato una badilata a una guardia e sia stato per questo freddato dopo avergli infilato in bocca a forza la camicia rossa da garibaldino. Nessuno viene risparmiato dalla raffica: pochissimi però sono i prigionieri morti, la maggior parte giace ferita nella buca stretta ma profonda. I prigionieri non capiscono, non è la solita fucilazione, attendono il colpo di grazia, ma questo non giunge, né forse potrebbe giungere per coloro che sono rimasti coperti dai corpi dei compagni fino a comprimerli. Alla fine l'assurdo diventa tragicamente reale: i nazifascisti hanno deciso di farli morire secondo dopo secondo, per dissanguamento o estenuazione. Richiamata dagli spari e dai gemiti, frattanto la popolazione di Forno comincia ad avvicinarsi inorridita. Le sentinelle tedesche, però, non lasciano avvicinare nessuno: resteranno di guardia due giorni interi. Tra la folla, a un certo punto, si apre una breccia. Giunge un altro prigioniero: si tratta del diciassettenne collegnese Pierino "Balilla" Armando, una delle giovanissime staffette della banda "Sergio". Ma è già morto, poco prima e poco lontano è stato riconosciuto e impiccato davanti agli occhi di certo Ignazio. Con sommo disprezzo il suo corrpo viene gettato nella fossa insieme agli altri corpi."
< Veduta complessiva della Fossa Comune nella sua sistemazione attuale con la sagoma di un caduto incisa nella pietra, posata su ghiaia rossastra, per richiamare il sangue. |
La lapide è posta su un’ampia roccia piatta e poggia su un basamento di cemento sul quale si eleva una grande croce. Sulla lapide sono elencati 26 caduti,[3] di cui sette ignoti. Il cognome di Giuseppe Berutti è erroneamente riportato come Berruti (lo stesso errore si può trovare anche sulla lapide all’Ossario). Tra i ventisei caduti non vi è nessun valligiano, vi sono però undici piemontesi di cui due valsusini (Pierino Armando di Avigliana e Pasquale Nicola di Susa che sono anche, rispettivamente, il più giovane ed il più vecchio tra i caduti della Fossa comune: Armando ha appena sedici anni, ventisei ne ha Nicola). Otto provengono da altre regioni italiane, anche se alcuni di essi risiedono in Piemonte. Tra i diciannove caduti di cui conosciamo l’identità dieci sono effettivi della banda «Nicoletta», sette della banda «Sergio», uno della «Nino-Carlo» ed uno della «Genio». Qui sotto un momento della riesumazione dei cadaveri |
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La targa, inserita all’interno di una nicchia in cemento, si trova davanti alla vecchia lapide ed alla croce. È stata posata in occasione dei lavori di ammodernamento del sito, svoltisi – sotto l’egida del Comitato per l’Ossario – tra il 1989 e il 1991. L’elenco dei caduti differisce leggermente rispetto a quello inciso sulla lapide. Vi sono indicati venticinque nomi (e non ventisei). Viene erroneamente incluso Ottavio Mossa, caduto altrove, mentre non compare Luigi Zelioli la cui presenza – peraltro già attestata dalla lapide del 1948 – è stata poi confermata dalle ricerche di Mauro Sonzini. Inoltre non viene più indicato l’ignoto n° 35. Anche qui, come già sulla lapide, il cognome di Giuseppe Berutti è travisato in Berruti. L’ordine in cui compaiono i caduti differisce rispetto alla lapide perché segue esattamente l’ordine alfabetico. |
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Scheda tratta dalla Tesi di Laurea di Andrea Mortara |
NOTE: [1] Una descrizione dei fatti intercorsi tra il 29 aprile ed il 1 maggio si trova sul sito Internet del Comune di Grugliasco all’indirizzo http://www.comune.grugliasco.to.it/dlFiles/Testoistanza.pdf. [2] Come riportato in M. Sonzini, Abbracciati per sempre, p. 74-75. [3] Informazioni sui caduti si trovano in M. Sonzini, Abbracciati per sempre, pp. 105-123. Il libro è una dettagliata ricostruzione del rastrellamento di maggio, con particolareggiata descrizione delle esecuzioni dimostrative, come quella della Fossa Comune, e delle rappresaglie naziste. |